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GIUBIILEO: DAL MONDO DELLA DROGA E DELL'EMARGINAZIONE, UNA GRANDE PROVOCAZIONE

 SAC. MIMMO BATTAGLIA PRESIDENTE DEL CENTRO CALABRESE DI SOLIDARIETA' Catanzaro, 11/05/2000  

Nel mio ministero due testi mi fanno da guida: uno è quello della testimonianza di vita dei miei fratelli ed amici che hanno conosciuto l'esperienza della droga in prima persona. L'altro è il Vangelo. Il Vangelo del samaritano, di Zaccheo, del figliol prodigo, dei talenti, della croce e resurrezione. Ogni giorno sono proiettato in un incontro obbligato con l'uomo che, istintivamente, vorrei evitare. Eppure è un uomo, non un fantasma, con tutto il suo carico di sofferenza, di desiderio di essere amato, sete di comprensione, di ricerca di felicità.
Ma come è possibile per quest'uomo, una volta caduto, trovare una mano per rialzarsi se io, se tutti noi, su quella strada, siamo tentati di passare dall'altra parte? Penso al Centro dove lavoro e molte volte lo vedo come una strada di Gerico. Vi sono capitati uomini percossi, feriti, umiliati, disperati. Al loro fianco qualcuno ha scelto di fermarsi, di sporcarsi le mani, di non abbandonare il sofferente, finché questi non avesse trovato la forza di camminare sulle proprie gambe.
Io sto in mezzo a uomini che da tanto tempo non entrano in chiesa, ma quando lasciano la droga e ritrovano la loro dimensione umana, mi cercano come prete; Potrei assolvere tutto il giorno, perché quando parlano con me è come se si confessassero.
Ed io, nonostante non usi quasi mai il colletto o la talare, dovunque vado a parlare mi qualifico immediatamente come prete. Sono aperto a qualsiasi discussione, e non rinuncio mai al mio diritto/dovere di testimoniare ciò in cui credo, per quanto povero possa essere il mio attestato di cristianesimo vissuto, a causa della mia fragilità. Dinanzi al fenomeno droga i compiti della chiesa sono tanti. La condivisione, il servizio, l'ascolto, devono diventare strumenti di promozione umana e di prevenzione del disagio. Misurarsi con la droga vuol dire per noi chiesa valutare le nostre possibilità di essere testimoni credibili.
Vuol dire recuperare dal vocabolario della vita, a partire dall'onestà e dalla coerenza, la chiave per essere accanto alla gente e per tuffarsi nel mare dell'umanità. Vuol dire anche mettere in discussione il nostro modo di fare carità e di fare catechesi, di seguire l'uomo nelle sue tappe di crescita umana e spirituale. Perché il vero rischio della carità non comincia quando si mette in gioco la propria vita, ma quando si fa elemosina senza lasciarsi coinvolgere.
Quando si offre solidarietà senza reciprocità, scegliendo le povertà meno scomode e selezionando i bisognosi secondo i propri bisogni. La carità non è una questione di scelta, perché non si possono scegliere le persone che bussano alle nostre porte. Io, e i tanti ragazzi con cui vivo la mia storia, e la loro storia, che è sempre storia di Dio, crediamo in una chiesa attenta ai segni dei tempi, in una chiesa che non ha paura di spendere mezzi ed energie per scoprire i nuovi poveri e che non è preoccupata dalla necessità di aiutare in modo creativo. Crediamo in una chiesa che parli più con i fatti che con le parole.
Crediamo nella chiesa costantemente proiettata verso gli ultimi. Un giorno Gesù ha detto che la pietra scartata sarebbe divenuta testata d'angolo. Stiamo attenti a non gettare via troppo alla svelta queste pietre, saremmo tutti più poveri. Sento il dovere di chiedere, a cominciare da me stesso: come mai abbiamo proclamato al mondo una chiesa dei, per, e con i poveri di ogni contrada, e i nostri poveri continuano a rimanere sulle porte delle nostre chiese, senza entrare, senza trovare gli spazi che più facilmente si offrono ai ricchi, agli uomini di potere, alle persone importanti? Forse perché i poveri sono rumorosi e non sanno parlare? Anche i bambini attorno a Gesù erano rumorosi e gli apostoli cercavano di allontanarli, ma Lui non volle.
Anche il cieco si mise ad urlare e tutti cercavano di zittirlo perché disturbava. Ma Gesù udì quella voce e si fermò. Anche la prostituta che si buttò ai suoi piedi bagnandoli con le lacrime disturbò quella cena e la gente pensava che non poteva stare lì, che quello non era il suo posto.
Ma Gesù ha capovolto con il suo modo di agire e di parlare tutti i canoni di un galateo che mette i buoni da una parte ed i cattivi dall'altra. Anche il figlio di quel padre si lamentò perché lui era stato bravo, non aveva sprecato le sostanze, aveva lavorato ogni giorno, frequentando amicizie pulite.
Ma la festa, le lacrime sul viso dei padre, il vitello grasso, il vestito più bello e le danze furono per l'incontro tra il padre e colui che era perduto. E' facile denunciare i grandi mali che affliggono il mondo: ma noi cristiani dove eravamo quando si sono consumati tanti disfatti? E dove siamo quando tante decisioni assurde passano sopra le nostre teste? La droga, come tanti fenomeni di povertà ed emarginazione, ci impegna prima di tutto a cambiare noi stessi e le nostre comunità. Cambiano a volte le forme e i luoghi in cui si manifestano sofferenze ed esclusioni, ma non i volti di donne ed uomini, bambini ed anziani.
Persone che hanno qualcosa in comune, al di là di ogni possibile differenza: il diritto di trovare una dignità e futuro. Ma non possono farlo da soli perché il diritto per poter essere esercitato deve essere riconosciuto dagli altri, da tutti gli altri, da ciascuno nei confronti di ciascun altro. Se qualcuno è costretto ai margini è l'intera comunità a risultarne impoverita.
Ecco perché crediamo in una Chiesa che non si concentri solo sui problemi né tantomeno sull'offrire soluzioni, ma in una Chiesa che aiuti l'uomo a guardare oltre, a contemplare il mistero nascosto nel cuore dei semplici e degli umili, nel cuore di chi apparentemente non ha nulla da regalarci, ma in fondo ha tutto, perché nella povertà possiede il grande segreto della vita. E tutto questo attraverso una cultura di responsabilità e reciprocità per aiutare il corpo a guarire, la città a migliorare, ogni persona a rialzarsi e la ferita comune a ricucirsi. Sentiamoci provocati dal fenomeno droga, proprio per la specifica missione di essere chiesa: "da questo vi riconosceranno, se avrete amore gli uni per gli altri".

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